Torino 18/03/2011

Intervento del Presidente Napolitano al Teatro Regio

Caro sindaco Chiamparino, caro presidente Saitta, caro presidente Cota, autorità civili, militari e religiose.
Eminenza, è ancora profonda in me l'emozione per il messaggio così alto e significativo che ha voluto indirizzare all'Italia, per questo Centocinquantesimo anniversario, Papa Benedetto sedicesimo.

Cittadini di Torino, credo che tutti, in qualsiasi parte del Paese, abbiamo avvertito che a partire dalla notte precedente la giornata del 17 marzo è accaduto qualcosa di importante: abbiamo percepito come uno straordinario scatto di sentimento e di consapevolezza nazionale, che è quello che volevamo suscitare nell'indire le celebrazioni del Centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Io sono qui per rendere merito a coloro i quali hanno fin dall'inizio creduto di più al valore di quest'anniversario, all'importanza di un impegno a festeggiarlo e a celebrarlo attraverso molteplici iniziative, anche di autentica e forte risonanza e partecipazione popolare.

Si dirà che era naturale che, in vista di questo anniversario, tanti si impegnassero così per tempo e così accortamente a Torino e in Piemonte, perché Torino è stata la prima capitale del Regno d'Italia. Vedete, quello che è importante è che Torino ha mostrato di non considerare questo titolo di prima capitale come un blasone scolorito dal tempo o un fregio di antica nobiltà, ma come un ruolo vissuto e da far rivivere e rinnovare anche attraverso tante trasformazioni della città stessa e di tutto il Paese.

Sono quelle trasformazioni di cui ci ha parlato questa mattina il sindaco Chiamparino ed è molto significativo che egli abbia sottolineato - e voglio farlo anche io - come Torino abbia dimostrato di saper rinnovare il suo ruolo di capitale anche diventando una delle città nelle quali si è realizzata quella straordinaria fusione di Italiani del Sud e del Nord che ha contribuito ad una così grande crescita della nostra economia e della nostra società.

Credo sia molto importante ricordare anche che, prima che capitale del nuovo Regno e del nuovo Stato unitario, Torino è stata capitale del movimento per l'Unità. Di un movimento che è riuscito a giungere al traguardo così arduo, così difficile, che si era prefisso potendo godere della guida saggia di un grande statista, forse il più grande nella storia del nostro Paese: il conte Camillo Benso di Cavour. E ha potuto godere di una tradizione liberale, che già si era incarnata nel piccolo Stato del Piemonte, e io ho voluto personalmente, ieri mattina, rendere omaggio anche alla figura di Vittorio Emanuele II, che non può non essere considerato come una delle figure chiave del nostro moto risorgimentale.

Prima di diventare capitale del nuovo Stato, Torino divenne capitale della cultura italiana fattasi cultura unitaria. Sono stati ricordati qui i nomi di grandi intellettuali militanti, esuli dal Regno delle due Sicilie, che a Torino non solo hanno trovato accoglienza, ma anche terreno fertile per i loro studi, per il loro contributo all'arricchimento e al rinnovamento della cultura italiana come nuova cultura comune a tutto il Paese.

Credo che veramente si debba dare merito a Torino per come ha creduto a queste celebrazioni. E per il programma che ha messo in cantiere: un programma che fin dall'inizio mi colpì. In quel momento non c'era nulla di simile in Italia per completezza, ricchezza, diciamo pure per ambizione. E è un fatto che voglio qui sottolineare: al di là dei cambiamenti di direzione politica nella Regione Piemonte, questo programma è stato portato avanti con consapevole consenso e continuità, e questo fa onore alla vostra città e alla vostra Regione.

Insieme con Torino, è Roma che merita ugualmente un riconoscimento, perché anche Roma ha fatto molto, anch'essa ha creduto molto in questo anniversario. Roma, la capitale agognata, la capitale ancora da inventare, era la città da ricongiungere all'Italia perché non si poteva concepire l'Italia senza Roma e lo Stato italiano senza Roma Capitale. E forse nessuno ha speso argomenti più alti, più forti e tuttora straordinariamente convincenti del Presidente del Consiglio Cavour nel suo discorso del 25 marzo 1861 nel nuovo Parlamento che per la prima volta si riuniva come Parlamento italiano e che da una settimana soltanto aveva proclamato Vittorio Emanuele II Re d'Italia. Sì, questo è stato molto importante. E sono contento che sia qui con noi il sindaco di Roma, insieme al quale ieri abbiamo partecipato a delle bellissime iniziative. È stata altamente significativa e commovente la cerimonia al Gianicolo, quando abbiamo reso omaggio ai patrioti del Risorgimento, alle figure più note dei partecipanti sia alla straordinaria epopea della Repubblica Romana del 1849 sia a tutti i moti per l'Unità. C'era molta gente per le strade, e tanta gente con il tricolore, che ci credeva, che aveva riscoperto qualcosa. Ecco, noi dobbiamo essere consapevoli della necessità di riscoprire quel qualcosa anche oltre quello che siamo riusciti a fare nel corso di questo periodo, perché le celebrazioni dell'Unità d'Italia non finiscono oggi.

Dobbiamo riacquisire un patrimonio storico-ideale - quello del movimento per l'Unità - che abbiamo, diciamolo pure, un po' lasciato deperire, anche un po' rimosso, per troppi anni, nel nostro Paese. Non solo lo abbiamo poco studiato, ma lo abbiamo in definitiva poco sentito; dobbiamo invece ristudiarlo e risentirlo, e soprattutto dobbiamo capire - cosa che non sempre è tenuta presente - quello che il moto risorgimentale ha rappresentato agli occhi dell'Europa e del mondo.

Abbiamo avuto ieri la notizia e il testo del proclama del Presidente degli Stati Uniti, nel quale Barack Obama afferma: "Nel momento in cui gli Stati uniti combattevano per salvaguardare la nostra Unione, la campagna di Giuseppe Garibaldi per l'unificazione d'Italia ispirò molti in tutto il mondo nelle loro lotte, compreso il Trentanovesimo fanteria di New York che venne battezzato La Guardia di Garibaldi. Oggi - prosegue Obama - le eredità di Garibaldi e di tutti coloro che hanno unificato l'Italia, sacrificando le loro vite, vivono in milioni e milioni di donne e di uomini americani di origine italiana, che rafforzano e arricchiscono la nostra Nazione americana". Di qui la proclamazione del 17 marzo 2011 da parte del Presidente come giorno dedicato alla celebrazione del Centocinquantesimo anniversario dell'unificazione d'Italia.

Ecco, questo siamo stati noi Italiani, questo hanno fatto i nostri padri, questo è stato il Risorgimento, questo è stato lo storico traguardo del conseguimento dell'Unità della nostra Nazione e della nascita del nostro Stato.

Ho detto che ieri abbiamo avvertito profondamente uno scatto di consapevolezza e di sentimento nazionale, e non torno su alcuni concetti espressi ieri - ho già messo a dura prova l'attenzione di coloro che si sono dedicati al faticoso esercizio di ascoltarmi - ma voglio soltanto insistere sul tema della necessità stringente, imperativa di coesione nazionale. Il che significa avere un rinnovato senso della Patria e della Costituzione; riconoscerci, identificarci con il senso di Patria, con l'appartenenza alla Patria, con la lealtà alla Costituzione repubblicana come grande quadro di principi e di regole per il nostro vivere comune, con quella coesione nazionale indispensabile per far fronte alle prove che ci attendono e che non saranno lievi. Saranno prove anche molto ardue per diversi aspetti e in diversi momenti.

Coesione significa rivisitare certamente in modo critico, con spirito critico la nostra storia, senza cedere a racconti edulcorati e ad insidie della retorica, sapendo quali problemi ci trasciniamo ancora senza averli risolti anche nel corso di un così lungo periodo. E quali problemi nuovi dobbiamo riuscire ad affrontare nel modo giusto, attraverso le necessarie riforme, anche istituzionali - così come d'altronde ha previsto lo stesso articolo 138 della nostra Costituzione - rinnovando in modo particolare l'ordinamento politico e amministrativo del nostro Stato in senso autonomistico, come vollero già i padri costituenti, che per primi indicarono quella strada che si sta ora percorrendo nell'attuazione del Titolo Quinto riformato della Carta costituzionale, cioè secondo uno spirito autonomistico e federalistico.

Sono qui anche per sottolineare la necessità di una forte coesione nazionale nel mondo che oggi ci circonda, e che - come ho detto ieri - è ricco di promesse per il futuro, ma è anche gravido di incognite.

L'Italia nelle prossime ore dovrà prendere decisioni difficili e impegnative rispetto alla situazione che si è venuta a creare in Libia, ma io credo che proprio se pensiamo a quello che è stato il Risorgimento - un movimento per l'Unità, innanzitutto come grande movimento liberale e liberatore - non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate le speranze che si sono accese di un risorgimento anche nel mondo arabo, evento decisivo per il futuro del mondo! E mi auguro che le decisioni da prendere siano dunque circondate dal massimo consenso, con consapevolezza dei valori che noi incarniamo, che l'Italia unita incarna e che dobbiamo salvaguardare dovunque.

Vorrei salutare in modo particolare il sindaco Sergio Chiamparino. Credo che gli elettori torinesi di tutte le tendenze, e le forze politiche di ogni orientamento, abbiano riconosciuto i meriti che spettano alla lunga opera di Sergio Chiamparino come sindaco di Torino. Egli ci ha detto molto tranquillamente che oggi è il momento del commiato. Vedete - anche questa è una questione importante - ho avuto dei dubbi: quando ero Presidente della Camera dei deputati, seguivo molto intensamente e sollecitavo l'adozione di quella riforma da cui nacque l'elezione diretta dei sindaci e un cambiamento istituzionale importante nel ruolo dei sindaci e dei Comuni; ma successivamente ho avuto più di una perplessità per una norma che quella legge prevedeva, cioè che il sindaco eletto direttamente dai cittadini potesse esserlo soltanto per due mandati. Potevano esserci tanti argomenti, tanti motivi di perplessità in senso contrario. Prevalse la ragione che, attribuendo come non mai una somma veramente cospicua di poteri alla figura del sindaco in quanto tale, fosse opportuno che non esagerasse troppo, che non incombesse per troppi anni nell'esercizio di questi poteri così incisivi. Mi sono poi convinto che sia stato bene prendere quella decisione, e che essa sia stata precisamente una prova di quello che mi sono permesso di dire ieri sera, vale a dire del senso di umiltà che deve guidare chiunque assolva doveri istituzionali importanti nel nostro Paese!

Rivolgo quindi l'augurio più cordiale a Sergio Chiamparino che passa la mano a chi il popolo eleggerà!