Palazzo del Quirinale 03/09/2011

Intervento del Presidente Napolitano al Workshop Ambrosetti in videocollegamento con Cernobbio

Saluto cordialmente l'amico professor Mario Monti e tutti gli illustri partecipanti al Forum. E desidero esprimere il mio vivo apprezzamento per l'invito rivoltomi a gettare un ponte, per così dire, tra il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia e i temi dell'Agenda per l'Europa. Non intendo naturalmente proporvi qui una pur breve sintesi del discorso storico e della riflessione istituzionale che hanno costituito la trama delle celebrazioni di quell'Anniversario nel corso di tutto il 2011. Mi limiterò a sottolineare come il riferimento all'Europa sia stato, da varii punti di vista, presente e centrale nel nostro guardare al passato, al presente e al futuro dell'Italia.

L'unificazione italiana, il suo conseguimento nel 1861, costituì un evento storico di prima grandezza nell'Europa di quel tempo ; ad essa seguì ben presto l'unificazione tedesca ; con il sopraggiungere dell'Italia e della Germania sulla scena dei grandi Stati nazionali unitari, l'Europa assunse la configurazione che abbiamo conosciuto fino alla seconda guerra mondiale.

L'Italia è stata parte di sfide e conflitti tra Stati e tra alleanze di Stati che hanno lacerato il nostro continente nella prima metà del XX secolo ; l'Italia ne è stata parte anche con scelte sbagliate e per essa fatali, come quella del fascismo e dell'alleanza di guerra con la Germania nazista. Ma poi è davvero nata, tra gli anni '40 e '50 del '900, una nuova Italia democratica e, in embrione, una nuova Europa comunitaria, una nuova Europa unita. In quel nuovo contesto internazionale, e su nuove basi costituzionali, l'Italia poté superare le prove durissime della ricostruzione post-bellica, contribuire a fondare la costruzione europea, compiere uno straordinario balzo in avanti sul piano economico e sociale, e così presentarsi all'appuntamento del primo centenario della sua unificazione entrando a far parte dell'area dei paesi più industrializzati.

Ma nel celebrare l'esperienza del Risorgimento e la sua conclusione vittoriosa, e nel ripercorrere il lungo percorso dei successivi 150 anni di Italia unita, non abbiamo nascosto o sminuito il peso di problemi di fondo non risolti nel nostro sviluppo, di contraddizioni non superate, di squilibri e tensioni persistenti nel tessuto istituzionale, economico e sociale del nostro paese. Non c'è stato nulla di trionfalistico o consolatorio nelle celebrazioni del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia.

Sappiamo bene, e diciamo apertamente, che in particolare nell'ultimo decennio la crescita dell'economia italiana è rallentata, fino a ristagnare, è stata inferiore al pure non elevato tasso medio europeo, ha rispecchiato un andamento non positivo della produttività. Più in generale, l'Italia, dopo aver dato un forte contributo all'ideazione della moneta unica, alla definizione del Trattato di Maastricht e alle decisioni politiche comuni che hanno condotto alla nascita dell'Euro, non ne ha tratto le conseguenze di necessario adeguamento del suo sistema economico e anche istituzionale a questa nuova realtà. Sono state fatte scelte coraggiose riassumibili nella rinuncia alla sovranità monetaria e quindi ad ogni autonoma manovra del tasso di cambio; ma altre scelte sono mancate. E' questo un tema di seria riflessione per tutte le forze politiche che si sono avvicendate nel governo del paese, e per tutte le forze economiche e sociali.

Si è ritardato ed esitato ad affrontare più risolutamente, con coerenza e continuità, il vincolo, che doveva essere allentato e sciolto, del pesante indebitamento pubblico accumulato in precedenza. E sentiamo ora, a 10 anni di distanza dall'adozione dell'Euro, tutto il peso di quel persistente vincolo nonché il peso del ritardo nell'avviare a soluzione altre questioni essenziali, adottando le riforme necessarie per un rilancio della produttività e della crescita.

Vorrei dire agli amici che vedo in questa sala, rappresentanti di altri paesi europei e di istituzioni europee, che la consapevolezza dell'assoluta necessità di una svolta verso il superamento di quei ritardi, verso l'assunzione in tempi rapidi di scelte coraggiose e di comportamenti rigorosi, è oggi diffusa come non mai in precedenza.

Questo ha significato il fatto inconsueto che il decreto-legge deliberato dal governo e da me emanato il 6 luglio scorso - contenente misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria - sia stato discusso e votato in Parlamento, in entrambe le Camere, nel tempo record di 9 giorni. Ciò nonostante forti contrasti tra maggioranza e opposizione nel merito di quelle stesse misure ; e grazie ad una prova di coesione nazionale da me come Presidente della Repubblica fortemente auspicata e sollecitata.

Quel decreto, rivolto a conseguire il pareggio di bilancio nel 2014, ha riscosso l'apprezzamento del Consiglio europeo nella sua Dichiarazione del 21 luglio, ma non è riuscito ad evitare una crisi di fiducia nei mercati finanziari, che ha duramente colpito tra la fine di luglio e l'inizio di agosto i titoli del debito pubblico italiano. E ciò ha indotto il governo a deliberare e presentare al Parlamento un nuovo decreto-legge, volto, in particolare, ad anticipare al 2013 l'obbiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio; in pari tempo la BCE ha fronteggiato, con alto senso di responsabilità, il rischio insorto per effetto di crisi del debito sovrano nella zona Euro.

La brusca accelerazione imposta dagli eventi ha reso, com'è evidente, particolarmente difficile e controversa la definizione da parte del governo italiano di decisioni efficaci di riduzione più rapida di quanto già previsto del rapporto deficit-PIL, e nello stesso tempo di decisioni efficaci ai fini di una effettiva ripresa della crescita. Di qui una discussione travagliata, che in questi giorni impegna il Parlamento : è impegno comune di maggioranza e opposizione di concluderla presto, molto tempo prima dello scadere dei 60 giorni rituali per la conversione del decreto-legge del 13 agosto, ed è impegno comune anche rispettare - comunque si emendino singole norme - gli obbiettivi complessivi di bilancio annunciati.

In sostanza, occorre che vengano ora e nel prossimo futuro da parte italiana chiarezza e certezza di intenti e di risultati, al di là di ogni oscillazione nociva alla credibilità degli orientamenti e comportamenti del paese. Si finirebbe altrimenti per ricadere in situazioni in cui il nostro paese veda riemergere e pesare su di sé antiche diffidenze.

Sappiamo peraltro tutti come il travaglio dei processi decisionali sia proprio della natura delle nostre democrazie parlamentari. E in questa fase il Parlamento italiano non è il solo in Europa nel quale si attendono voti difficili a conclusione di delicati confronti. Non c'è dubbio che in generale la politica sia in affanno, di fronte alle tensioni e ai rischi di crisi cui è esposta l'Eurozona, e che gli equilibri politici e sociali interni a singoli paesi siano messi alla prova. Si tratta di vicende che dobbiamo seguire in spirito di reciproco rispetto, e rifuggendo da pregiudizi o semplicismi relativi alle diverse latitudini in cui sono situati gli Stati membri.

Tornando all'Italia di oggi, dirò che facciamo e faremo quel che dobbiamo - specie per ridurre decisamente il nostro debito pubblico - certamente in coerenza con intese da noi sottoscritte in sedi europee, ma non in obbedienza a particolari imposizioni dall'esterno. Lo facciamo nell'interesse del nostro paese e delle sue future generazioni. Lo facciamo valorizzando sempre i fattori di sostenibilità anche finanziaria della situazione italiana, per la solidità del sistema bancario, per lo scarso indebitamento delle famiglie : ma non invocando tali fattori per sfuggire agli imperativi di riequilibrio e stabilità della finanza pubblica, e non invocando a tal fine nemmeno i molti punti di forza della nostra economia - dinamismo imprenditoriale al servizio innanzitutto di una ricca base produttiva manufatturiera, peculiare talento creativo, eccellenti riserve di capitale umano.

Facciamo e faremo quel che dobbiamo - ed è qui il banco di prova per tutte le forze politiche e sociali italiane - perché lo dobbiamo alla causa comune dello sviluppo dell'Europa unita : causa in cui crediamo e a cui abbiamo dato contributi essenziali da sessant'anni ; sviluppo che ha bisogno dell'Italia, della sua grande tradizione e realtà storica, così come di esso ha bisogno l'Italia.

Possiamo e dobbiamo uscire tutti insieme dalle criticità che ci stringono in questa fase : varando presto, entro il semestre di presidenza polacca, il pacchetto legislativo sulla governance economica, e innanzitutto dando forza agli strumenti apprestati per l'attuazione di interventi anti-crisi in seno all'Eurozona, senza ulteriori incertezze e riserve tali da produrre ancora instabilità e conseguenti delicati problemi per la stessa BCE. Quel che ci deve guidare è, ancor prima di un principio di solidarietà, la consapevolezza dell'interesse comune europeo. E del suo coincidere - in una visione lungimirante - con gli interessi nazionali dei singoli Stati membri, anche i più forti. E' responsabilità di tutti - accettando ciascuno la propria parte di obblighi e di vincoli - ma è ugualmente interesse di tutti salvaguardare l'Euro e rafforzare le possibilità di crescita sostenibile dell'Europa in un periodo di pesanti incognite per l'economia mondiale.

Le sfide che abbiamo davanti richiamano tutte quella per noi più grande e decisiva : la sfida dell'andare avanti sulla via di una più stretta integrazione economica e politica, con una coerenza e un coraggio maggiori di quel che stiamo dimostrando, senza commisurare ogni decisione a considerazioni ed esigenze politiche ed elettorali interne. Fare chiarezza sui rapporti, che si sono venuti un po' annebbiando, tra le istituzioni dell'Unione e sullo stesso metodo del loro funzionamento, aprirsi a innovazioni ormai necessarie senza irrigidirsi su pregiudiziali e rinvii al futuro, abbandonare chiusure e pretese che non esaltano il profilo dell'Unione e nemmeno quello degli Stati nazionali che le manifestano: mi sembrano, queste, altrettante esigenze di fondo.

Mi auguro che a questa riflessione concorra efficacemente questo Forum Ambrosetti. Porrò in atto ogni sollecitazione a me possibile perché l'Italia sia partecipe di una tale riflessione operosa, con un apporto di idee e di impegni credibili degno della sua storia di paese fondatore della costruzione europea.

Il Presidente della Repubblica Napolitano, a conclusione del suo intervento, ha risposto alle domande poste da Wolfgang Schüssel, Sergio Romano e Jean Claude Trichet.

Domanda di Wolfgang Schüssel
sull'importanza e il valore delle celebrazioni del 150 anniversario dell'Unità d'Italia; sul sentimento di sfiducia verso le istituzioni europee e sulla capacità dei governanti di affrontare la crisi mondiale; e su cosa si può fare per ricreare un clima di fiducia necessaria.

Risposta Presidente
Ho apprezzato molto il calore con cui il presidente Schüssel ha voluto ricordare l'importanza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Ho detto che noi abbiamo cercato di trarre dalla celebrazione di quell'anniversario dei motivi, precisamente, di "orgoglio" e "fiducia", ma nello stesso tempo anche dei motivi di forte "riflessione critica" su quello che non si è risolto nel lungo percorso dei 150 anni e rimane ancora oggi un insieme di problemi seri, di nodi gravi da sciogliere.
Lei ha posto una questione essenziale che è quella della fiducia, della credibilità delle istituzioni e delle leadership europee di fronte alla crisi, e penso che abbia perfettamente ragione nel dire che il diffondersi di sfiducia nei confronti della capacità delle istituzioni e delle leadership politiche di affrontare la crisi sia veramente un fattore enormemente dannoso per la soluzione di tutti i nostri problemi.
Io naturalmente non ho da esprimermi sulle leadership politiche nazionali - sono all'altezza, non sono all'altezza, non è un giudizio che mi compete -, tanto meno sono in grado di dire come potrebbero nascere nuove e più valide e più autorevoli leadership politiche e classi dirigenti. Uno studioso italiano, forse un po' incline al pessimismo, diceva che la formazione di una classe dirigente "è un mistero divino". Io non ripeterò questa formula, ma certamente nessuno è in grado di dare ricette sul modo di partorire, nei prossimi anni e decenni, più forti e più autorevoli leadership politiche in Europa.
Quanto alla domanda su come ristabilire fiducia nell'Europa, nelle sue istituzioni, nei governi degli Stati che ne sono parte essenziale, io direi innanzitutto: riuscendo a dimostrare che l'Europa realmente è unita, è in grado di operare come entità unitaria. Tutto quello che noi facciamo che dia il senso di una frammentazione, di una disarticolazione e perfino, dopo aver preso delle decisioni comuni, il darne in un paese una certa interpretazione e in un diverso paese un'altra interpretazione, il prendere le distanze rispetto a quello che si è deciso di fare insieme, il non dare ciascuno il contributo necessario all'attuazione di quelle decisioni comuni, ecco tutto questo a mio avviso è deleterio.
Per ristabilire fiducia nella nostra comune capacità di fronteggiare la crisi bisogna istruire bene le nostre decisioni, prenderle con il massimo possibile di coesione ed essere coerenti nella loro attuazione.

Domanda di Sergio Romano
sull'eventualità di una formazione di un governo diverso per poter realizzare gli obiettivi del risanamento della finanza pubblica e maggiore coesione tra le forze politiche.

Risposta Presidente
Ambasciatore Romano, lei sa benissimo che le preoccupazioni per un eccesso di conflittualità tra i partiti e per la forte pressione che calcoli elettorali e di convenienza esercitano sulle posizioni dei partiti, anche degli opposti schieramenti, sono per me pane quotidiano. Queste preoccupazioni le esprimo ormai da vari anni con molta tenacia, costanza, e talvolta anche con molta severità.
Lei certo pone una questione che intriga molti, nel nostro paese e fuori, e cioè che solo un governo diverso che in partenza realizzasse una maggiore coesione tra le forze politiche e sociali potrebbe realizzare gli obiettivi congiunti di risanamento economico, di abbattimento del debito pubblico e di una crescita più intensa e continuativa.
Quello che io posso fare, e faccio, è ogni sforzo perché, pur nell'attuale situazione che vede forti contrapposizioni tra opposizione e maggioranza e vede anche molte tensioni tra governo, forze politiche e forze sociali, si realizzi un clima di maggiore confronto e apertura. Io ho detto: ci vuole più misura nei giudizi, più realismo nelle analisi, più convergenze sul da farsi. Questo è quello che posso dire.
Per quello che riguarda i governi, il Presidente della Repubblica non interviene a formare o creare governi se ce ne è uno in carica che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento. Io, quindi, non posso avere in mente nemmeno, e in ogni caso non è nel mio programma, la formazione di un governo diverso da quello attuale. Il giorno in cui si aprisse una crisi di governo - e questo è sembrato che potesse accadere alla fine dell'anno scorso, ma non accadde - io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costituzionale, chiamerei a consulto tutte le forze politiche e mi assumerei la responsabilità anche di fare una proposta per la soluzione della crisi. La Costituzione mi da sempre, tra l'altro, la facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo: in quelle circostanze farei la mia parte.
Non posso, invece, andare oggi al di là del mio ruolo istituzionale. Non siamo una Repubblica presidenziale: siamo una democrazia parlamentare. Fin quando c'è un governo che ha la fiducia del Parlamento, comunque esso agisca, io non posso certamente sovrapporvi non dico il fatto, ma nemmeno l'idea di un governo diverso.

Domanda di Jean-Claude Trichet (Presidente della BCE)
sull'esigenza per la BCE, l'Eurosistema, la Banca d'Italia, che l'Italia confermi e raggiunga gli obiettivi di risanamento economico indicati dalla manovra del governo il 5 agosto 2011: è essenziale che i target annunciati siano realizzati.

Risposta Presidente
In primo luogo tengo a dire che condivido pienamente le parole di omaggio del prof. Monti rivolte al contributo altissimo che il presidente Trichet ha dato per molti anni non solo alla responsabilità di presidente della Banca Centrale ma alla causa della costruzione europea. Anche i suoi interventi negli ultimissimi giorni dimostrano quanta coerenza ci sia nella sua visione dell'unità e della integrazione europea.
Presidente Trichet, desidero esprimere le ragioni di particolare gratitudine dell'Italia per quanto avete fatto nelle ultime settimane.
Più in generale le dico che ho ribadito e ribadisco quotidianamente che gli obiettivi fissati con il decreto di agosto, che prevedono in sostanza il raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2013 anziché il 2014 debbono essere assolutamente confermati anche alla fine del dibattito e delle votazioni in Parlamento.
Sono convinto che sia essenziale che vengano confermati e vengano quindi tradotti in fatti concreti gli obiettivi del decreto di agosto, che si riassumono naturalmente nel raggiungimento del pareggio di bilancio già nel 2013. E ho fiducia che a ciò si attengano tutti, perchè pur essendo così forte il conflitto - come diceva l'ambasciatore Romano - tra maggioranza e opposizione, in questo momento nessuno, nemmeno nell'opposizione, mette in dubbio che si debba raggiungere quell'obbiettivo.
C'è una forte divergenza sui mezzi attraverso i quali raggiungerlo: sulle misure più efficaci o più giuste, o più credibili che possono portare a qual risultato. Io non farò altro, di qui al momento in cui ci sarà il voto finale in Parlamento, che richiamare tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, al maggior confronto e al più costruttivo confronto tra di loro, per poter pienamente confermare quell'obbiettivo.
E aggiungo che ciò richiede non uno sforzo in queste settimane ma uno sforzo nei prossimi anni. Noi parliamo di una svolta che riguarda molti aspetti del nostro ordinamento economico, sociale e istituzionale, e davvero dobbiamo portare avanti una prospettiva coerente, che vada anche al di là dell'avvicendarsi tra i governi e nell'avvicendarsi dei turni elettorali. Noi non possiamo ragionare soltanto in termini non dico di tre settimane ma nemmeno di venti mesi, quanti cioè ci dividono dalla scadenza naturale di questa legislatura parlamentare. Dobbiamo riuscire a spingere lo sguardo molto più avanti e abbiamo bisogno di scelte salde di medio e lungo termine.