Bari 04/11/2011

Intervento del Presidente Napolitano al Convegno "Rotta a Sud-Est. Bari e la Puglia per lo sviluppo del Paese"

Magnifico Rettore,
Signor Presidente della Regione,
Signor Presidente della Provincia,
Signor Sindaco di Bari,
Cari Alessandro Laterza e Gianfranco Viesti,
Autorità,
Signore e Signori,

ho colto con piacere, direi quasi con sollievo, l'occasione che mi è stata offerta qui oggi, e ve ne ringrazio, per gettare insieme con voi uno sguardo più pacato e intenso alle situazioni e ai problemi reali del nostro Paese, partendo dal Mezzogiorno che mi è, come sapete, molto caro.
Come è evidente, siamo dominati dall'assillo quotidiano per le turbolenze dei mercati finanziari, per le tensioni che colpiscono la gestione e le prospettive del nostro debito pubblico e per le ricadute che tendono ad avere sulla più complessiva condizione economica e sociale del Paese. Si tratta di un assillo cui non si può sfuggire e che richiede risposte giorno per giorno, ma che non deve impedirci di riflettere e di decidere su molteplici piani. Essenziale è infatti quel che si muove e può muoversi nel Paese, il modo in cui tutti i soggetti sociali operano e sono chiamati a operare per far fronte alle difficoltà con cui siamo alle prese nel quadro della crisi finanziaria ed economica europea e mondiale.

Ci preoccupa, in particolare qui in Italia, la condizione del Mezzogiorno, il disagio e l'incerto sviluppo delle nostre regioni meridionali, la gravità del problema dei senza lavoro e soprattutto dei giovani che si interrogano ansiosamente sul loro futuro.

Ho molto apprezzato le analisi e le considerazioni del prof. Viesti e del dott. Laterza, il loro non catastrofismo, l'accento che hanno posto su segni di trasformazione positiva, sulle peculiari dinamiche positive che anche in questa fase presentano la Puglia, il barese e il suo sistema produttivo. E ho egualmente, però, apprezzato lo spirito critico con cui essi hanno rilevato sia carenze ed errori di decisioni nazionali di cui il Mezzogiorno paga le conseguenze, sia insufficienze, distorsioni ed inerzie di cui portano la responsabilità le stesse comunità meridionali.

Mi è sembrato significativo e giusto l'approccio selettivo, in una visione fortemente innovativa, che ci è stato presentato, alla tematica della realtà e delle esigenze delle imprese, così come il rifiuto dei localismi, dei corporativismi e delle tradizionali invocazioni di aiuto. Questa apertura al cambiamento è indispensabile almeno quanto l'ancoraggio ad irrinunciabili principi regolativi della nostra convivenza civile e sociale nel grande solco della Carta Costituzionale. E questa è stata l'ispirazione anche degli interventi dei rappresentanti delle istituzioni - che ringrazio per aver fatto tutto tranne che rivolgermi dei saluti formali - così come ho colto la stessa ispirazione critica e innovativa nell'intervento del Magnifico Rettore. Ispirazione, dunque, realistica, non difensiva, di valorizzazione misurata degli sforzi compiuti e di stimolo soprattutto a quelli che restano da compiere.

Vi posso assicurare che trarrò spunto da quanto ho ascoltato qui più di quanto non sia in grado di dire ora.

Comunque, più rigore, più iniziativa nel modo di essere e di comportarsi delle rappresentanze politiche delle amministrazioni regionali e locali, del mondo delle imprese e del mondo del lavoro, dovunque nel Mezzogiorno, sono un contributo di cui l'Italia intera ha bisogno per aprirsi ad una nuova prospettiva di sviluppo. Lo ha detto conclusivamente il prof. Viesti parlando del Sud, anzi parlando, come ho sentito, del Sud - Est (non so se abbiate già brevettato questa denominazione, forse sarebbe il caso di farlo). Quando il prof. Viesti ha detto che sono quì, nella Puglia, nel Mezzogiorno, nel Sud-Est le risorse per far ripartire lo sviluppo italiano su basi più solide e più equilibrate e che abbiamo quindi la responsabilità, come Mezzogiorno, di essere il motore della ripresa dell'economia e della società italiana, credo che abbia detto qualcosa che debba considerarsi per noi particolarmente impegnativa, in quanto la morsa che oggi stringe il Paese è quella dell'alto debito pubblico e della bassa crescita. Non la si rompe agendo su uno solo dei suoi lati.

Il rapporto sulla stabilità finanziaria reso noto avant'ieri dalla Banca d'Italia è molto sereno e fermo nell'indicare i punti di forza della nostra situazione economica e anche finanziaria, in special modo di quella bancaria, ma anche nell'avvertirci delle sempre più gravi ripercussioni che le tensioni sul debito sovrano dell'Italia stanno avendo e potranno ancor più avere sulla situazione delle imprese, sull'attività economica, sull'andamento dell'occupazione, sulla condizione delle famiglie. Per evitare che la morsa si stringa a danno della crescita bisogna allentarla senza alcun dubbio dal lato del debito pubblico.

Siamo da ambedue questi punti di vista oggi al centro dell'attenzione preoccupata delle istituzioni europee e internazionali, come si è visto al G20 di Cannes.

Gli obbiettivi sottoscritti a Bruxelles dall'Italia il 26 ottobre vanno attuati tempestivamente, puntualizzandoli nei loro termini rimasti generici o controversi; vanno attuati, e anche rafforzati e arricchiti. Non si può - in particolare nelle sedi europee -ripartire ogni mese con nuove indicazioni e prescrizioni; ma dal canto suo l'Italia non può dare segni di scarsa determinazione e scarsa affidabilità. Questo e' stato, mi pare, il segno positivo delle conclusioni di Cannes, secondo le prime notizie che ne abbiamo potuto ricevere.

Parliamoci chiaro: nei confronti del nostro paese e' insorta in Europa, e non solo in Europa, una grave crisi di fiducia. Dobbiamo esserne consapevoli, e sentircene, più che feriti, spronati nel nostro orgoglio e nella nostra volontà di recupero.

Affiorano anche, qua e là, se non pregiudizi antichi e nuovi, giudizi unilaterali o ingenerosi, e calcoli insidiosi, verso l'Italia. Ma guai a rispondere con ritorsioni polemiche e animosità. Tra paesi amici, che sono stati e sono impegnati a costruire l'Europa unita, pacifica e solidale, non possono riaccendersi spirali di incomprensione e divisione, che nella storia del nostro continente approdarono a spaventosi disastri.

Le istituzioni dell'Unione Europea, e gli Stati che ne sono parte, nessuno escluso, stanno pagando il prezzo di insufficienze, esitazioni, contraddizioni, su cui ciascuno dovrebbe interrogarsi per la sua quota di responsabilità; e non è certo l'Italia ad avere tutta sulle sue spalle questa responsabilità; e dobbiamo ora, insieme, compiere il nuovo salto di qualità che si impone nel processo di integrazione europea, perché si rinnovi quell'impegno di comune sviluppo, quello spirito di giustizia, di coesione sociale, di solidarietà che ha fin dalle origini caratterizzato e animato il progetto europeo.

All'Italia tocca dare il suo contributo in questo senso, non restando seconda a nessuno dei grandi paesi fondatori dell'Europa comunitaria; ma ad essa tocca nello stesso tempo superare i suoi ritardi e le sue cadute, facendosi una ragione di quella crisi di fiducia di cui ho parlato, e traendone tutte le conseguenze.

Al di là della naturale polemica tra le opposte parti politiche sulle responsabilità, e lasciando alla dialettica democratica in Parlamento la libertà e l'onere delle scelte generali da compiere, c'e da condurre - come ho detto nel celebrare il Centocinquantenario - un esame di coscienza collettivo.
Molto deve cambiare nei comportamenti di tutti, nei comportamenti dei diversi attori della vita pubblica e sociale. L'azione di recupero della fiducia che oggi vediamo così scossa nei confronti dell'Italia, non può considerarsi compito di una parte sola.

Lasciatemi concludere dicendo: cominciamo subito con l'essere più esigenti, verso noi stessi e verso chi voglia rappresentarci nel Mezzogiorno e nel Paese.