Palazzo del Quirinale 08/09/2012

Intervento del Presidente Napolitano al Workshop Ambrosetti in videocollegamento con Cernobbio


La tradizione del workshop Ambrosetti è quella di un discorso ininterrotto, il cui filo viene ripreso da un anno all'altro. Partirò dunque dagli sviluppi che ha avuto, dal settembre 2011, la situazione italiana nel quadro europeo, per giungere rapidamente agli interrogativi e alle scelte che ci si propongono oggi.

Per quel che riguarda l'Italia, si sa quale soluzione abbiamo potuto dare nel novembre scorso a una difficile crisi politica sfociata nelle dimissioni del governo Berlusconi. Essenziale è stato poter contare sulla disponibilità di una risorsa altamente qualificata, di una personalità di grande competenza e prestigio europeo come il Prof. Mario Monti. Il nuovo governo - sorretto dal senso di responsabilità delle principali forze politiche - è riuscito a tener fede agli impegni concordati in sede di Unione Europea e a dare significativi contributi al comune obbiettivo del superamento della crisi dell'Eurozona. E' stato in effetti realizzato in tempi straordinariamente serrati - meno di 10 mesi - un densissimo programma di provvedimenti legislativi e amministrativi volti al risanamento della finanza pubblica e all'avvio delle necessarie riforme strutturali. L'Italia ha così rafforzato la sostenibilità della sua situazione finanziaria e riguadagnato credibilità nelle relazioni internazionali e sui mercati.

Non ci facciamo illusioni sulla sufficienza dei risultati ottenuti : molto resta da fare, non ci sfuggono la persistente gravità del peso del debito pubblico, la complessità dei nodi ancora da sciogliere per una ripresa dell'economia, l'acutezza delle tensioni sociali e politiche da affrontare. E comprendiamo bene anche l'interrogativo che si pongono proprio quanti, fuori d'Italia, hanno apprezzato e riconosciuto lo sforzo di cambiamento prodottosi attraverso un'originale formazione di governo, indipendente da pregiudiziali e contrapposizioni politiche e connotata da elevate competenze tecniche.

L'interrogativo riguarda gli scenari politici e le soluzioni di governo che potranno scaturire dal risultato delle prossime elezioni parlamentari, da tenersi entro e non oltre l'aprile del 2013. E non vorrei qui semplificare i problemi e dare risposte vagamente rassicuranti. Vorrei dire, innanzitutto, che c'è da auspicare - e da parte mia in ciò si confida - una costruttiva conclusione della legislatura ancora in corso, così da portare avanti la concreta attuazione degli indirizzi e dei provvedimenti definiti dal governo e approvati dal Parlamento. Una costruttiva conclusione della legislatura anche nel senso di predisporre - in primo luogo attraverso la riforma elettorale da tempo considerata necessaria - condizioni favorevoli a una migliore rappresentatività e governabilità del sistema politico-istituzionale.

Mi si lasci infine aggiungere che non solo in Italia ma in tutte le democrazie governanti in Europa, le più o meno vicine competizioni elettorali presentano incognite ed esiti incerti, per effetto delle difficoltà che in questo tempo di crisi attraversano in ogni paese la politica e la società. Dobbiamo quindi rinnovare tutti la nostra fiducia nel metodo democratico, contare sulla maturità delle nostre opinioni pubbliche, e favorire un sereno svolgimento delle competizioni elettorali garantendo l'affidabilità di ciascun nostro paese negli anni successivi. Mi adopererò perché in Italia venga esplicitamente e largamente condiviso l'impegno a dare seguito e sviluppo a scelte di fondo concertate in sede europea. I diversi schieramenti politici che si contenderanno il consenso degli elettori possono ben riconoscere la necessità vitale di un loro impegno convergente su quel terreno. Cercherò di sollecitare una tale manifestazione di libera e limpida consapevolezza politica, considerandolo mio dovere, fino al termine del mandato presidenziale.

L'Italia, dunque, sta facendo e farà la sua parte, con severità verso se stessa com'è inevitabile per quei paesi dell'Eurozona che hanno accumulato maggiori squilibri in termini di rapporto debito-PIL, specie nel caso italiano, o, in altri casi, di gestione del proprio sistema bancario e di crescita economica (talvolta inficiata da assistenzialismi e "bolle" insostenibili). Ma dobbiamo tutti - senza scavare solchi tra paesi "virtuosi" e paesi "non inclini al rigore" - fare la nostra parte nel consolidare l'Euro, in particolare di fronte a "mercati frammentati o influenzati da irrazionali paure", nel superare errori e limiti nella linea di condotta dell'Unione dopo la nascita della moneta unica, nell'esprimere e perseguire una visione comune e solidale dello sviluppo del processo di integrazione europea. E tutto ciò implica un intreccio di decisioni a breve e a più lungo termine, comportamenti coerenti e costanti, ponendo termine a troppe oscillazioni e contraddizioni. Forse gioverebbe anche un po' più di self restraint a varii livelli di responsabilità, per non ingenerare confusioni e incertezze tali da ripercuotersi nervosamente sui mercati.

Nel necessario intreccio di decisioni con diverse prospettive temporali, hanno da esercitare i loro ruoli - distintamente e in sinergia - i governi nazionali e le istituzioni dell'Unione, dal Parlamento europeo al Consiglio alla Commissione e alla Banca Centrale Europea. Nell'immediato, occorre dare risolutamente attuazione alle deliberazioni del Consiglio Europeo di fine giugno, completare le ratifiche del Meccanismo Europeo di Stabilità e del Fiscal Compact, procedere, previa la prevista imminente verifica, agli interventi necessari per ancorare, fuori di ogni ricorrente dubbio, la Grecia all'Eurozona. In un orizzonte di medio termine, si tratta di assumere nel Consiglio Europeo di dicembre proposte di concretizzazione del rapporto presentato di recente dal Presidente Van Rompuy. Rapporto, com'è noto, rivolto a rafforzare l'architettura e la governance dell'Unione Economica e Monetaria attraverso pacchetti di nuove e più stringenti misure di integrazione nel campo finanziario e bancario, delle politiche di bilancio e delle politiche economiche per la crescita e l'occupazione.

Nello stesso spirito del procedere per stadi, secondo una ben calendarizzata road-map, è al lavoro il Parlamento europeo, e per esso la Commissione Affari Costituzionali, distinguendo tra innovazioni attuabili sulla base del Trattato di Lisbona, emendamenti circoscritti al Trattato che possono essere introdotti anche con procedure di revisione semplificata, e riforma organica dei Trattati che abbracci il nodo delle competenze e passi attraverso la convocazione di una nuova Convenzione.

La direzione di marcia non può non essere quella che conduce - attraverso un percorso meditato e un'adeguata maturazione - a una vera e propria Unione Politica. Il tema ormai non è più tabù, e viene apertamente posto da personalità di primo piano nel contesto europeo, anche se talvolta in termini vaghi o con intenti diversi. E l'obbiettivo dell'Unione politica non solo va coerentemente definito in termini di visione del ruolo e di arricchimento dei compiti dell'Unione, ma fa tutt'uno con la soluzione del fondamentale problema della legittimazione democratica del processo decisionale e dell'assetto istituzionale dell'Unione.

Come ha di recente sottolineato il Presidente della BCE Mario Draghi, "l'integrazione economica e l'integrazione politica possono svilupparsi in parallelo". In effetti, si decise, all'epoca di Maastricht, di procedere alla creazione dell'Euro senza posporla alla realizzazione dell'Unione politica, ma - come anni fa osservò e ricordò uno degli artefici di quella stagione, Tommaso Padoa Schioppa - vi fu un "tacito impegno di completare l'ordinamento politico". Ebbene, è venuto il momento di onorare quell'impegno.

In un mio più ampio intervento pubblico di qualche giorno fa, ho anche osservato - e lo ripeto qui - che si deve colmare il vuoto che finora c'è stato di una dialettica politica finalmente europea, con le sue sedi, le sue forme di espressione e competizione, le sue forze protagoniste. A una frammentazione e chiusura della politica entro sempre più asfittici ambiti nazionali, deve succedere un'europeizzazione della politica e delle forze politiche.

La prospettiva che ho suggerito, ricavandola, potrei dire, dai lavori in corso nelle istituzioni europee, presuppone, come condizione essenziale, il manifestarsi di una forte volontà politica comune. Quella che permise non solo di far nascere il processo di integrazione, ma di superarne via via gli alti e bassi, le tensioni e i momenti di crisi o stagnazione. Si può immaginare che non ne siano capaci le attuali leadership politiche e di governo in Europa, restando invischiate in schemi e interessi contrapposti, in visioni lassiste o, all'opposto, restrittive dell'unità europea, e perfino in illusioni di autosufficienza da parte di singoli paesi? Ciò significherebbe assumersi la responsabilità - per difetto di consapevolezza di quali siano oggi i rischi e la posta in giuoco - di lasciar franare la costruzione europea, cioè l'esperienza più innovativa concepita e portata avanti sul piano mondiale a partire dagli anni '50 del secolo scorso. E con essa franerebbe per l'Europa ogni chance di farsi co-protagonista del processo di globalizzazione, con la conseguenza di condannarsi all'irrilevanza.

Continuo a non credere che questo possa accadere, che non riesca a coagularsi la volontà politica comune per rilanciare, rinnovandola, la nostra Unione.