Palazzo del Quirinale 06/09/2008

Collegamento in video-conferenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con il Workshop Ambrosetti a Villa d'Este

COLLEGAMENTO IN VIDEO-CONFERENZA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
CON IL WORKSHOP AMBROSETTI A VILLA D'ESTE

PALAZZO DEL QUIRINALE, 6 SETTEMBRE 2008

Svolgerò brevi considerazioni su alcune delle key issues poste a base dell'agenda per l'Europa che intendete discutere oggi.

Innanzitutto, la situazione dell'Unione Europea alla luce del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Direi che al clamore e all'allarme suscitati dal risultato di quel referendum è seguita una fase di attesa più distaccata, uno sforzo, quasi, per sdrammatizzare quell'imprevisto e brusco incidente di percorso. E chiaramente si confida - innanzitutto da parte della Presidenza francese - che venga proposta dalle stesse autorità irlandesi, a partire dal Consiglio europeo del prossimo ottobre, una via d'uscita dall'impasse che si venuto a determinare. In effetti è possibile, anche se non sicuro, che si trovi il modo per giungere a un nuovo pronunciamento popolare in Irlanda, tale da salvare il completamento del processo di ratifica del Trattato di Lisbona. Non possiamo tuttavia negare il danno di immagine già provocato dal no - sia pure di un piccolo paese - col quale si è bloccata e posta in forse l'attuazione di importanti, innovative scelte istituzionali da tempo considerate necessarie e pazientemente concordate. Il danno reale è certamente quello del ritardo che ne è derivato: insieme col rischio di una perdita di credibilità dell'Unione, della sua capacità di decidere, di cambiare se stessa, di consolidare e sviluppare nel futuro il suo ruolo.

Credo che abbiano ragione quanti contestano ogni facile pessimismo ed esprimono fiducia nella forza di cui dispone l'Unione per andare oltre momenti di crisi anche grave. E' vero, il processo di integrazione - a quasi sessant'anni dagli inizi - ha messo radici così profonde da apparire o poter essere giudicato irreversibile. E tuttavia non possiamo sottovalutarne i punti deboli, le fragilità, i nodi che restano da sciogliere.

Può avere futuro l'Unione Europea se il dissenso che si registra anche in uno solo dei suoi Stati membri determina una pesante battuta di arresto, suscita il timore di una paralisi? Si può invece mettere in discussione la regola dell'unanimità anche nei campi in cui è rimasta un tabù: a cominciare da quello della definizione e ratifica di nuovi Trattati? Si può prospettare una integrazione differenziata, innanzitutto sperimentando cooperazioni rafforzate tra i paesi che vogliano e possano procedere più speditamente?

Interrogativi, lo sappiamo, tutt'altro che nuovi, e sempre elusi, ma che la forza testarda dei fatti risolleva acutamente. Il grande allargamento dell'Unione fino a 27 Stati membri ha rappresentato una scelta e un evento di grande significato storico: ma esso davvero richiede che, per preservarne le potenzialità, si escluda ogni differenziazione?

E' bene tenere viva questa riflessione, tenere aperto questo dibattito, pur dando la priorità al massimo sforzo per far entrare in vigore al più presto il Trattato di Lisbona, per il contributo che è destinato a venirne al rafforzamento della coesione e della capacità di decisione dell'Unione.
Ci si chiede, nel proporre l'Agenda per l'Europa 2009, se l'Unione Europea sia in grado di assolvere efficacemente il suo ruolo rispetto alla competizione globale. Penso che la questione sia riferibile non solo alle performance cui è chiamata l'economia europea ma ad un processo di globalizzazione che esige un balzo in avanti della capacità d'azione politica dell'Unione sul terreno complessivo delle relazioni internazionali.

A Villa d'Este si discute oggi soprattutto dei temi della competitività, della crescita, della governance finanziaria. Ma sono temi non separabili da quello del livello di coesione e iniziativa politica dell'Unione.

Le stesse nuove sfide cui in tempi recenti l'Unione si è accinta a dare risposte - i cambiamenti climatici, i fabbisogni energetici - implicano l'affermarsi di una più forte volontà e autorità politica da parte dell'Unione.

Nel momento attuale, poi, l'accento non può non cadere sulla assoluta, impellente necessità di un effettivo protagonismo europeo sul piano internazionale, di una decisa accelerazione verso una politica estera e di sicurezza comune dell'Unione.

Un segnale positivo, dinanzi alla crisi georgiana, è venuto nei giorni scorsi dal Consiglio europeo: si è riusciti - non dirò miracolosamente, ma al di là di meno rosee realistiche previsioni - ad esprimere una posizione unanime. Ma le tensioni non sono mancate e restano abbastanza visibili, in particolare sul tema di un costruttivo equilibrio tra critica e pressione per il rispetto da parte della Federazione russa di principi e impegni irrinunciabili, e conferma, arricchimento, rilancio della cooperazione tra UE e Russia, così come tra Nato e Russia, a fini di sicurezza comune su scala paneuropea e euroatlantica.

E allora non ci si può affidare a un'accorta mediazione in sede di Consiglio Europeo quando scoppi una crisi acuta, ma si deve costruire - questo è il termine appropriato: costruire - una politica estera e di sicurezza davvero comune, sotto la guida, come prevede il Trattato di Lisbona, di un solo responsabile in seno all'Unione e grazie all'apporto di strutture di sostegno per l'analisi, per l'elaborazione e per la messa in atto di scelte quindi meglio ponderate e concertate.

Vorrei che vedeste, in quel che ho detto, il sommario contributo di un convinto credente nella causa europea. Convinto ma problematico, perché solo così oggi si può esserlo.

Risposta a una domanda di Wolfgang Schuessel, già Cancelliere federale dell'Austria

Guardo anch'io alle elezioni europee del prossimo anno con apprensione perché certamente nei nostri paesi, in misura maggiore o minore, si è diffusa una corrente euroscettica come lei l'ha voluta definire con un classico termine. Ora non c'è dubbio che questo maggiore o minore scetticismo è legato anche alla insufficienza delle risposte che l'Unione Europea ha dato finora a esigenze acutamente avvertite dai cittadini. Quindi, la risposta semplice, anzi semplicistica, dovrebbe essere: "L'Unione Europea dimostri maggiore capacità di risposta ai problemi e riguadagnerà la fiducia dei cittadini". Ma è, appunto, una risposta troppo facile perché praticamente bypassa un nodo che è di responsabilità politica.
Io ritengo che sia essenziale che le classi dirigenti dei nostri paesi, e in modo particolare le leadership politiche nazionali degli stati membri dell'Unione Europea si assumano fino in fondo la loro responsabilità parlando ai cittadini di quello che l'Europa è stata, di quel che ha fatto e può fare. Troppe volte noi abbiamo visto, invece, evocare le istituzioni europee e le decisioni europee come alibi per giustificare l'azione o l'inazione dei governi. Dimenticando che le scelte o le non scelte dell'Unione Europea sono tali con il concorso determinante dei governi che siedono nel Consiglio.

Non si può fare la polemica su un eccesso di regolamentazione o sul carattere burocratico e troppo vincolante delle direttive nascondendo ai cittadini il fatto che nessuna direttiva ha potuto essere deliberata ed entrare in vigore senza il consenso dei rappresentanti di tutti i governi, che siedono nel Consiglio dei ministri, e insieme, naturalmente, il consenso del Parlamento europeo, partendo da una proposta della Commissione.

Ci sono stati tempi più facili quando cioè la nascita e, via via, la crescita dell' Europa comunitaria ha coinciso con una fase di grande sviluppo economico e di crescente benessere sociale: allora i cittadini hanno, come dire, immediatamente visto nel processo di integrazione europea una risposta alle loro aspettative e un beneficio. Tutto diventa più difficile quando l'Unione Europea è chiamata ad agire in una situazione come quella che è stata ricordata brevemente da lei e dal professor Monti. Bisogna, allora, fare e saper fare questo discorso di verità e di responsabilità ai cittadini. E bisogna, naturalmente, che l'Unione Europea si dia i mezzi per rispondere nella misura più efficace possibile alle difficoltà, agli elementi critici dell' attuale momento. Anche per quello che riguarda la strategia di Lisbona, che avrebbe dovuto essere la chiave di risposte europee comuni alla sfida della competitività globale: noi sappiamo quali ostacoli siano venuti da una incertezza circa i luoghi della decisione, i poteri di decisione o circa l'efficacia vincolante degli indirizzi che venivano via via prospettati per l'attuazione della strategia di Lisbona. Quindi va, anche sul piano istituzionale in senso più specifico, discusso meglio, per esempio, quale possa essere il rapporto tra Eurogruppo ed Ecofin, quale possa essere effettivamente il ruolo dell'Eurogruppo nel quale si raccolgono quegli stati membri che proprio con una cooperazione rafforzata ante litteram hanno scelto di andare avanti più speditamente.