Budapest 26/09/2006

Conferenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all'Accademia Ungherese delle Scienze: "Le Prospettive di Integrazione Politica nell'Europa Riunificata"

 

CONFERENZA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
GIORGIO NAPOLITANO
ALL'ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI BUDAPEST

Budapest, 26 settembre 2006

Ho accolto con grande interesse e piacere l'invito a svolgere, nella sede di questa prestigiosa istituzione, alcune considerazioni sulle prospettive dell'integrazione politica nell'Europa riunificata. Si tratta di considerazioni suggeritemi da una lunga esperienza e complessa evoluzione personale, vissuta nelle istituzioni democratiche italiane ed europee. L'Ungheria è oggi tra i paesi più impegnati con piena consapevolezza e coerenza nella costruzione europea. Ed è questo un nuovo motivo di vicinanza tra i nostri due paesi. L'Ungheria è una Nazione nel cuore di tutti gli italiani : ci lega un'amicizia, ci lega un'affinità di sentimenti e di cultura, che viene dal più lontano passato storico toccando il culmine in quella comune battaglia per l'indipendenza nazionale che vide nel XIX secolo patrioti magiari ed italiani combattere fianco a fianco. E oggi ci ritroviamo insieme in una Europa finalmente unita nella democrazia e nella pace. Il cammino non è stato breve e non è stato facile ; esso deve proseguire, col contributo dell'Ungheria e dell'Italia, fino a raggiungere i traguardi più avanzati di un'effettiva integrazione politica.
E' questa una prospettiva nella quale possono riconoscersi tutti i 25 Stati membri dell'Unione, i vecchi e i nuovi. Di certo, per i sei Stati fondatori che sottoscrissero dapprima il Trattato istitutivo della Comunità del carbone e dell'acciaio, entrato in vigore nel 1952, e successivamente, nel 1957, a Roma, i Trattati che diedero forma all'insieme dell'Europa comunitaria, l'obbiettivo di giungere a un'integrazione politica fu fin dall'inizio ben chiaro. Non si trattava solo di integrare i mercati e, via via, le economie, ma di far nascere un'Europa politica, qualcosa di nuovo sul piano politico e istituzionale.
Il punto di partenza della costruzione europea fu la decisione, nel 1950, di mettere in comune la produzione del carbone e dell'acciaio, e di gettare così le basi dell'unificazione economica tra i sei paesi dell'Europa occidentale che erano pronti ad associarsi a quel progetto. Ma la stessa prima impresa, che poteva apparire così parziale, così settoriale, ebbe una straordinaria ispirazione e ambizione politica : sottrarre alla sovranità nazionale risorse e capacità produttive - il carbone e l'acciaio - attorno a cui si erano sviluppate rivalità e tensioni tra Francia e Germania, tali da sfociare in due terribili guerre nel corso del XX secolo. Si intuì che quello fosse il modo di costruire la pace nel cuore dell'Europa. Fu pace la prima parola chiave del progetto europeo, fu la riconciliazione tra Francia e Germania, dopo la seconda guerra mondiale, la condizione essenziale per tentare di unire l'Europa.
E d'altronde ben presto alla proposta di Trattato per la Comunità del carbone e dell'acciaio, si affiancò la proposta di Trattato per una Comunità europea di difesa : con quest'ultima si usciva dai confini dell'integrazione economica per prospettare un percorso di unità politica. In quel progetto di Trattato fu introdotto per iniziativa italiana un articolo che prevedeva la elezione a suffragio universale di un'Assemblea rappresentativa, come segno concreto della volontà di creare istituzioni politiche comuni. L'iniziativa italiana restò legata ai nomi di due grandi protagonisti del processo di costruzione dell'unità europea : Alcide De Gasperi, uomo di Stato lungimirante e determinato, e Altiero Spinelli che con lui collaborò in quanto ideatore e animatore del movimento federalista. Il progetto della Comunità europea di difesa, che aveva assunto così un contenuto altamente politico e non solo militare, naufragò nel 1954 per la bocciatura da parte del Parlamento francese ; e non restò aperta altra strada che quella dell'integrazione economica - prima tappa il mercato comune - quale fu definita nei Trattati di Roma di cui stiamo per celebrare il cinquantesimo anniversario.
Quella strada fu percorsa con gradualità, attraverso alti e bassi, momenti di crisi e battute d'arresto, e quindi coraggiosi balzi in avanti. Indiscutibili furono comunque i progressi che si realizzarono sul piano della crescita economica e del progresso civile e sociale, a beneficio non più solo dei sei paesi fondatori ma di tutti gli altri che via via entrarono a far parte della Comunità e poi dell'Unione europea. Tra essi, paesi che erano dapprima rimasti in una posizione di attesa e di sostanziale diffidenza, come la Gran Bretagna ; paesi che liberatisi da regimi dittatoriali - il Portogallo, la Spagna, la Grecia - aderirono di slancio al disegno dell'integrazione europea ; e infine paesi dell'estremo Nord come la Finlandia. I confini restarono tuttavia rigidamente segnati dalla divisione dell'Europa in due blocchi : l'uno, che non coincideva con l'alleanza militare atlantica ma si identificava pienamente con i principi di libertà e di democrazia, con gli istituti dello stato di diritto, propri dell'Occidente ; l'altro, che era espressione della sfera d'influenza attribuita dopo la seconda guerra mondiale all'Unione Sovietica, di cui aveva subìto il modello politico ed economico-sociale in una condizione di sovranità coattivamente limitata, ovvero di sostanziale perdita dell'indipendenza nazionale.
Tra quelle che apparivano due Europe - nonostante la profondità del retaggio comune anche ai paesi arbitrariamente accomunati nella formula "Europa orientale" - si alternarono periodi di guerra fredda, fasi di acuta tensione e periodi di distensione, di relativa normalizzazione dei rapporti economici e politici. Ma l'Europa sempre più largamente raccoltasi nelle istituzioni della Comunità fondata nel 1957, continuò a caratterizzarsi per fondamentali scelte democratiche cui l'Europa del blocco sovietico si confermò, per sua natura, estranea.
Accadde tuttavia che la Comunità europea sprigionasse una crescente forza di attrazione nei confronti dell'altra parte del continente. In seno a quest'ultima, si fece sentire sempre di più l'influenza dei successi delle economie sociali di mercato e dell'integrazione tra i 6, i 9, i 12 Stati membri della Comunità ; l'influenza dei valori di libertà, di democrazia politica, di riconoscimento dei diritti individuali e collettivi, che nell'Europa conformata al modello sovietico venivano negati.
Le rivoluzioni del 1989, la caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti nei paesi dell'Europa centrale e orientale, e quindi il crollo dell'Unione Sovietica, portarono assai fortemente l'impronta dell'influenza del processo di integrazione in atto nell'Europa occidentale, dell'innegabile superiorità dei sistemi democratici su cui tale processo poggiava. La primavera di Praga, il movimento di riforma perseguito in Cecoslovacchia nel 1968, avevano costituito l'estremo tentativo di avvicinarsi, dall'interno del mondo comunista, ai valori vincenti nell'altra parte del continente, e non a caso furono brutalmente repressi, segnando i limiti insuperabili di un modello che poté solo essere rovesciato, vent'anni più tardi.
Ma è sul significato del movimento rivoluzionario del 1956 in Ungheria, che si deve ancor oggi concentrare l'attenzione. Si era, allora, ancora agli albori della costruzione europea, la cui influenza e forza di attrazione si sarebbe poi fatta tanto sentire, come ho ricordato. La sollevazione ungherese contro lo stalinismo che aveva fatto tutt'uno col comunismo fu la prova più alta di quello che un grande storico, Ferenc Fejtö, ha colto come dato di fondo rimasto insopprimibile nelle vicende, pur così dure e spietate, delle democrazie popolari : la "linfa della libertà", l'autonomismo della società civile e la resistenza della sfera individuale, anche religiosa, di certo intellettuale, rispetto alla pressione della macchina totalitaria. Ecco che cosa animò la rivoluzione ungherese dell'ottobre 1956, e si manifestò a più riprese attraverso sussulti che scossero diversi paesi del blocco sovietico, fino ad esplodere dovunque nel 1989.
Anche tra quanti non compresero l'autentica natura della rivoluzione ungherese nel momento in cui veniva sopraffatta dalla violenza dell'intervento sovietico, vi fu chi giunse poi - rivedendo radicalmente le proprie posizioni - alla chiara consapevolezza del significato di quello storico evento.
Dobbiamo perciò rinnovare l'omaggio - come ho fatto oggi, con intensa partecipazione personale, deponendo a nome della Repubblica italiana corone di fiori al monumento ai Martiri del 1956 e alla tomba di Imre Nagy - ai combattenti e alle vittime di un moto generoso, condannato all'isolamento e alla sconfitta in un mondo percorso dalle tensioni e dalle logiche di blocco della guerra fredda ; di un generoso moto di popolo che costituì tuttavia uno straordinario momento precursore della storica riunificazione del nostro continente nello spazio unitario di civiltà dell'Unione europea.
Fu con le rivoluzioni del 1989 che quella riunificazione divenne possibile. La Comunità del 1957, divenuta Unione con il Trattato di Maastricht del 1992, non poteva non aprire le sue porte alle risorte democrazie dell'Europa centrale e orientale. L'allargamento dell'Unione non è stato rapido come da più parti si sarebbe voluto ; ma si è infine compiuto nel 2004, a conclusione di un processo di profonda trasformazione delle economie e delle società, degli assetti politici e istituzionali, dei sistemi giuridici, nei paesi candidatisi dopo il 1989 all'ingresso nell'Unione. Nello stesso tempo l'integrazione europea ha raggiunto ulteriori traguardi, l'Unione si è data nuovi obbiettivi. Si è definito un mercato unico, è nata una moneta unica. Si è assunta la prospettiva di una politica estera, di sicurezza e di difesa comune ; si sono delineati i contenuti di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Nel corso dei decenni, e di Trattato in Trattato, si è sempre più costruito un tessuto non solo di norme giuridiche, ma di relazioni umane, culturali, sociali, che hanno unito i popoli, le istituzioni, le opinioni pubbliche, le giovani generazioni dei paesi - via via cresciuti da 6 a 15 - dell'Europa comunitaria. Si è andati ben oltre lo schema di un'area di libero scambio, di un'integrazione puramente mercantile. Si è dal 1979 eletto a suffragio universale il Parlamento europeo, come suprema assemblea rappresentativa dei popoli degli Stati membri della Comunità e poi dell'Unione : un'istituzione politica per eccellenza. Ha insomma cominciato a prender corpo un'Europa politica.
E questo è il contesto in cui l'Italia e l'Ungheria sono chiamate a operare insieme, e con loro tutti i paesi che hanno sottoscritto il 29 ottobre 2004 a Roma il Trattato costituzionale. Occorre, in special modo tra i nuovi Stati membri, una lucida consapevolezza del senso stesso del progetto, del processo in cui sono impegnati. Non si tratta solo di trarre benefici dalla partecipazione a una più ampia e libera area di scambi e di investimenti ; si tratta di contribuire a un nuovo sviluppo economico e sociale dell'Europa unita, nell'era della competizione globale. Si tratta di dare risposte adeguate a sfide nuove, per la sicurezza delle nostre istituzioni e dei nostri popoli ; si tratta di costruire la pace non più solo in Europa ma ben oltre i suoi confini, lavorando per un mondo più giusto e meglio regolato. Sono queste le nuove motivazioni dell'europeismo, civile e mite utopia coltivata anche e in particolare da italiani appassionati già nelle carceri e nelle isole di confino del fascismo - utopia faticosamente tradottasi in grandiosa costruzione unitaria.
Peraltro, le nuove motivazioni erano implicite in quelle originarie dei profeti del 1950. Fu il maggiore, forse, di essi, Jean Monnet a scrivere, concludendo - 25 anni più tardi - le sue Memorie : "Non possiamo fermarci quando attorno a noi il mondo intero è in movimento.... Come ieri le nostre province, oggi i nostri popoli debbono imparare a vivere insieme sotto regole e istituzioni liberamente consentite se essi vogliono attingere le dimensioni necessarie al loro progresso e conservare la padronanza del loro destino. Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui possano risolversi i problemi del presente."
Ecco, ora tutto è diventato più chiaro e si è fatto più stringente. In primo luogo, oggettivamente, le dimensioni dei problemi. Guardiamo alle sfide che stanno dinanzi ai nostri sistemi economici e sociali per effetto della globalizzazione e di un radicale mutamento negli equilibri economici mondiali. Guardiamo a emergenze come quella ambientale e quella energetica, cui non è possibile sfuggire. Guardiamo alle disuguaglianze e agli abissi di arretratezza e povertà, da cui scaturiscono grandi ondate migratorie. Guardiamo alle aree di crisi e ai focolai di guerra, così come alle minacce del fondamentalismo intollerante e aggressivo e del terrorismo internazionale, con cui dobbiamo fare i conti. Le dimensioni di questi ed altri problemi sono forse tali che ad essi si possa far fronte solo sul piano nazionale, solo con politiche nazionali, ciascun paese d'Europa per proprio conto, con le proprie forze? Nessuno può seriamente sostenerlo.
E allora bisogna trarne le conseguenze : agire insieme, dandoci, secondo le parole di Monnet, "regole e istituzioni liberamente consentite".
Un valido quadro istituzionale la Comunità, e quindi l'Unione, se lo sono via via dato. Occorre oggi ulteriormente definirlo e decisamente rafforzarlo. Un quadro originale, storicamente inedito, è quello delineato fin dall'inizio : in esso si congiungono infatti nuove istituzioni sovranazionali - come la Commissione e il Parlamento - e istituzioni rappresentative degli Stati nazionali, essenzialmente il Consiglio. E si è sempre dovuto ricercare un equilibrio tra le une e le altre, tra le logiche dell'azione comunitaria e quelle della cooperazione intergovernativa. Ma il presupposto di questa originale costruzione è stato il riconoscimento della necessità di porre limiti alla sovranità un tempo assoluta degli Stati nazionali e di dar luogo a forme di sovranità condivisa attraverso poteri conferiti, appunto, a istituzioni sovranazionali. Nel mondo d'oggi si può valorizzare e garantire la propria sovranità solo condividendola in un ambito istituzionale più largo.
E questo è un punto che va ben chiarito in quanto si tocca un tema particolarmente sensibile in paesi che da non moltissimi anni sono usciti da una lunga fase di sostanziale, anche se non formale, perdita dell'indipendenza e sovranità nazionale. Ebbene, non può sfuggire la differenza radicale tra un'imposizione dolorosamente subita e una libera scelta, dettata da una visione nuova del comune destino dei paesi e dei popoli d'Europa. Si può ricordare che nella Costituzione della Repubblica italiana, approvata nel dicembre 1947, fu iscritto un articolo - l'articolo 11 - sulla base del quale l'Italia ha potuto "consentire" (così recita la Costituzione) "alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni" : in primo luogo, si sarebbe ben presto visto, un ordinamento come quello della Comunità europea. Eppure, solo poco prima, nel 1945, l'Italia aveva potuto riconquistare l'indipendenza e la sovranità nazionale liberandosi dall'occupazione e dominazione tedesca.
Insomma, i paesi che dopo il 1989 hanno chiesto e sollecitato l'adesione, come membri a pieno titolo, all'Unione europea, soddisfacendo tutte le condizioni previste, hanno scelto di entrare a far parte non di una tradizionale alleanza o di un qualsiasi organismo di cooperazione tra Stati, ma di un sistema di integrazione con istituzioni e regole a cui ogni Stato membro si impegna liberamente a sottostare.
Si ha talvolta l'impressione - ma, voglio sottolinearlo, guardando non all'Ungheria bensì ad altri - che qualche equivoco sia rimasto in proposito. E' un equivoco che probabilmente contribuisce a spiegare perché diversi Stati, a differenza dell'Ungheria, che è stata molto sollecita, non abbiano proceduto alla ratifica del recente Trattato costituzionale.
Ed è peraltro un fatto che il ritardo nella procedura di ratifica - oltre che il rigetto in Francia e Olanda, per via referendaria - di quel Trattato pur solennemente firmato dai governi di tutti i 25 paesi membri dell'Unione allargata, ha mostrato il persistere o il riaffiorare di incomprensioni e riserve, circa il processo di integrazione, anche in paesi presenti da lungo tempo nell'Unione e addirittura fondatori della Comunità negli anni '50.
Siamo dunque in presenza di fenomeni di declino del consenso, di insoddisfazione, di disagio nei confronti della costruzione europea : fenomeni con cui dobbiamo fare i conti noi tutti che crediamo nell'eredità di valori e di conquiste accumulatasi negli ultimi cinquant'anni, nella persistente validità e insostituibilità dello storico progetto di un'Europa unita. Occorre da un lato reagire a mistificazioni e a fraintendimenti, che concorrono a diffondere un quadro sommario e falso del processo di integrazione quale si è venuto svolgendo e della realtà attuale dell'Unione europea, e che contribuiscono addirittura a diffondere ogni sorta di infondati timori. E occorre dall'altro lato dare risposte convincenti a critiche e preoccupazioni fondate.
C'è, quindi, da confutare ogni svalutazione dei risultati conseguiti - che si debbono far conoscere soprattutto alle generazioni più giovani -, c'è da contrastare la tendenza a dare per superato il disegno europeista, e nello stesso tempo c'è da perseguire tenacemente la prospettiva del rinnovamento e rafforzamento sia delle iniziative e delle politiche sia delle istituzioni e delle regole dell'Unione. E' stato quest'ultimo l'obbiettivo della Convenzione di Bruxelles e della Conferenza intergovernativa, da cui è scaturito, tra il 2002 e il 2004, il "Trattato che stabilisce una Costituzione per l'Europa".
La mancata ratifica, da parte di un certo numero di Stati membri, e quindi la mancata entrata in vigore, di quel Trattato, ha rappresentato più in generale un segno di crisi dell'Unione proprio all'indomani del suo allargamento. Un segno di crisi del ruolo e della capacità d'azione dell'Unione, cui è stato ed è giusto rispondere sul piano politico con un rilancio di progetti concreti e di iniziative efficaci. E da questo punto di vista va salutata con grande soddisfazione la scelta che l'Unione a 25 ha saputo compiere di fronte alla guerra in Libano, la prova che essa ha saputo dare, in piena unità, di rinnovata volontà politica, di rinnovata capacità di decisione e di intervento in un campo cruciale. Essa ha così colmato un vuoto di potere pericoloso, su mandato dell'ONU e su richiesta degli stessi Stati coinvolti nel conflitto, rendendone possibile il superamento.
Andare avanti, oggi, sulla via dell'integrazione politica significa soprattutto affermare il ruolo dell'Europa sulla scena internazionale, come attore globale che conti davvero per il superamento di gravi crisi e tensioni, per il consolidamento della pace, per l'avvio di un più equilibrato e giusto ordine mondiale. Parlo di crisi e tensioni anche nei rapporti tra le diverse culture e religioni ; parlo di un'Europa che si faccia sentire con la forza delle sue idealità, della sua attitudine al dialogo, della sua iniziativa politica e diplomatica, oltre che con la sua partecipazione alle necessarie missioni militari. La scelta dell'impegno in Libano e nel Medio Oriente può voler dire che l'Unione europea sta uscendo dall'impasse politico. Ma essa deve uscire anche dall'impasse istituzionale.
E ciò significa non lasciar cadere il Trattato costituzionale, perché sono indispensabili tanto una rinnovata volontà e unità politica al massimo livello degli Stati membri, quanto le innovazioni istituzionali previste dal Trattato. Abbiamo bisogno di basi giuridiche, procedure e figure nuove : da una cooperazione strutturata nel campo della sicurezza e della difesa, alla istituzione del Ministro degli affari esteri europeo. Sia sul piano delle relazioni internazionali, sia sul piano della competizione e della crescita economica, nessun singolo Stato nazionale potrà davvero pesare in un mondo di grandi potenze storiche e di nuove potenze emergenti : potrà pesare solo l'Europa, se saprà parlare con una voce sola.
Delle direttrici e delle regole sancite dal Trattato costituzionale c'è bisogno anche per dar forza a nuove politiche comuni la cui urgenza appare ora innegabile : dalla politica dell'immigrazione alla politica dell'energia. Attraverso i lavori della Convenzione di Bruxelles e della Conferenza Intergovernativa si sono concordate le innovazioni minime indispensabili per consentire più efficaci processi decisionali in una Unione allargata a 25 e, tra breve, a 27 Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà e nella previsione che si debbano perseguire forme di integrazione differenziata. Deve dunque considerarsi impegno irrinunciabile quello volto a non lasciar cadere il Trattato sottoscritto nell'ottobre 2004, ad assecondarne la ratifica da parte di altri Stati membri che finora non vi hanno provveduto, a rendere possibile una nuova e diversa deliberazione da parte francese e olandese. Ci appaiono irrinunciabili quelle parti del Trattato che garantiscono, tra l'altro, una ulteriore democratizzazione dell'Unione, attraverso il rafforzamento del ruolo e dei poteri del Parlamento europeo, un suo più stretto rapporto con i Parlamenti nazionali, un maggior coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali e delle rappresentanze della società civile nella formazione degli indirizzi e delle scelte dell'Unione.
Non si può, infine, non sottolineare come il Trattato costituzionale abbia rappresentato il coronamento del processo di allargamento dell'Unione, di unificazione dell'Europa nella democrazia e nella pace : sancendo principi, valori, obbiettivi, equilibri istituzionali destinati a ispirare e rendere sempre più forte e vitale questa grande comunità di Stati e di popoli. Tra gli infondati timori che sono stati diffusi nell'opinione pubblica degli Stati già membri, prima del 2004, dell'Unione europea, sappiamo che ha pesato anche il timore delle conseguenze del grande allargamento da 15 a 25 paesi. E invece è profonda convinzione mia, dell'Italia, e - ne sono certo - dell'Ungheria, che tale allargamento costituisca una straordinaria sorgente di ricchezza ideale, culturale, sociale, di rappresentatività storica, di forza e dinamismo, da mettere a frutto della grande impresa dell'integrazione europea concepita oltre cinquanta anni fa. Esso costituisce anche - non c'è dubbio - la prova decisiva della capacità di resistenza e della flessibilità della costruzione europea, delle sue potenzialità di ulteriore, coraggioso sviluppo. Sono sicuro che il vostro e il nostro paese sono pronti ad affrontare questa prova, in piena unità d'intenti, nel nome di grandi tradizioni di amicizia e solidarietà.