INTERVENTO ALL'INCONTRO
CON GLI ESPONENTI DEL MONDO IMPRENDITORIALE
DEL NORD-EST
Treviso, 27 marzo 2007
Desidero innanzitutto ringraziare il Sindaco, On. Gobbo, il Presidente della Provincia, Dottor Muraro, e i rappresentanti del mondo economico per le espressioni di cordialità e di fiducia che mi hanno rivolto. E ringrazio, in particolare, il Presidente Galan che da un giorno e mezzo ha abbandonato il timone della regione per assistermi in questa perlustrazione di Venezia e della Marca Trevigiana, e cioè di una parte molto rappresentativa e fondamentale del Veneto.
Il dottor Tessari ha intuito che sono qui anche mosso dal desiderio di capire, e stamattina credo di aver capito un po' di cose. Naturalmente, non vi voglio far credere di averle capite tutte e di aver imparato tutto quello che c'è da imparare. Mi limiterò perciò a poche considerazioni.
Io cerco - penso che questo appartenga alle mie responsabilità - di dare dei messaggi al Paese, anche dei messaggi alle forze politiche e alle istituzioni rappresentative. In qualche modo so che possono essere dei messaggi nella bottiglia, senza certezza che vengano raccolti. Ma ho egualmente il dovere di lanciarli.
C'è, comunque, qualcosa che va al di là della mia personale curiosità e volontà di capire: è il Paese, sono le istituzioni, sono le forze politiche e di governo che debbono capire meglio quello che qui è accaduto e i problemi che qui si pongono.
Siamo di fronte - lo dicevo ieri a Venezia - ad un processo di trasformazione che forse non ha eguali nel Paese, ed è qualcosa di assolutamente straordinario. So - è stato detto, d'altronde - che voi avete l'impressione che non sia sufficientemente riconosciuto lo sforzo che avete prodotto e il risultato che avete conseguito. Ma è un risultato di tale imponenza, che bisogna davvero essere ciechi per non vederlo: cos'era ieri il Veneto, cosa è oggi, come si è trasformata questa vostra regione: una regione anche povera e, se pensiamo al Polesine, molto povera, ed oggi regione tra le più avanzate, produttive e ricche del Paese, che ormai occupa un posto importante anche in Europa.
Siete diventati - raccolgo questa espressione e la faccio mia - un popolo di imprenditori, già popolo di lavoratori molto industriosi: la dote tipica della laboriosità veneta si è tradotta in capacità imprenditoriale. Voi però, siete nello stesso tempo consapevoli dei problemi che avete davanti. Non vi chiudete in una orgogliosa valorizzazione dei risultati raggiunti.
C'è stata una formidabile crescita e c'è stato anche qualcosa di assolutamente nuovo: il fenomeno dell'immigrazione e lo sforzo della integrazione. Non ho mai pensato - anche quando mi sono occupato di questi problemi in una precedente funzione pubblica - che l'immigrazione non creasse tensioni. Non ho mai pensato che il processo dell'immigrazione si potesse compiere all'insegna della facilità. L'immigrazione crea molti problemi, anche problemi molto complessi. È importante che voi abbiate saputo affrontarli con spirito aperto e con questa singolare capacità di integrazione. È vero che ci sono stati pregiudizi nei confronti del rapporto tra Veneto e popolazione immigrata, ma oggi che la popolazione immigrata conta tanto nella crescita non solo demografica del Veneto, è importante dire che ciò è dovuto anche alla vostra capacità di integrazione, che può rappresentare in questo senso un punto di riferimento per il Paese.
L'immigrazione comporta anche - soprattutto quando è forte la presenza di immigrati illegali - il rischio della insicurezza: bisogna affrontare questo rischio, che non è solo legato alla presenza di immigrati. Quindi, il richiamo fatto in alcuni interventi a questa esigenza credo debba essere tenuto molto seriamente presente da chi governa il Paese e da chi ha la responsabilità dell'ordine pubblico, anche delle forze dell'ordine e delle autorità di governo che, in rappresentanza dell'amministrazione centrale, operano sul territorio. Insomma, credo che veramente si sia fatta molta strada verso un elemento di nuova coesione sociale, di nuova coesione civile che abbracci anche questi nuovi lavoratori: io penso - sempre di più, nel prossimo futuro - nuovi cittadini.
Non ho ben capito - magari sarà tema di precisazione in altra occasione - se alla crescita demografica così intensa del Veneto abbia contribuito, negli ultimi tempi, anche una qualche inversione di tendenza nel tasso di natalità. Credo che questo sia uno sviluppo fortemente auspicabile. E penso sia legato, qui in Veneto, a ciò che rappresenta - come istituto portante, storico, tradizionale della società veneta - la famiglia: l'unità famigliare, che molto spesso è anche il motore di questa crescita imprenditoriale.
Nuovi problemi: sia chiaro che non posso dare risposte che non spettano a me, ma spettano al governo e al Parlamento. Però, credo di potere e dovere sottolineare esigenze, aspettative, impegni che non debbono essere esposti agli alti e bassi della politica, al succedersi dei governi e delle maggioranze, esigenze e impegni che richiedono continuità.
Bisogna sapere che non si può lanciare una parola d'ordine, inseguire un qualche obiettivo, e poi lasciarlo cadere: e quindi, se c'è un cambiamento di governo, ripartire sempre da capo. Naturalmente, è pienamente legittima ogni dialettica politica e ogni volontà di cambiamento rispetto a chi ha governato in precedenza, ma ci deve essere un elemento di continuità e di condivisione su alcune grandi questioni, che sono poi innanzitutto le questioni della modernizzazione delle istituzioni. O, come si è detto, delle istituzioni e della pubblica amministrazione. Sono questioni vitali per un ulteriore sviluppo dell'economia veneta e dell'economia italiana in un contesto di sempre più intensa e difficile competizione globale.
Voi avete già cominciato a fare la vostra parte. Non potete fermarvi, non potete considerarvi soddisfatti, ma già avete fatto molto, con processi di ristrutturazione, in modo particolare delle medie imprese, e con processi di internazionalizzazione. Insomma, gli investimenti e gli insediamenti all'estero di imprese venete, rappresentano un esempio cospicuo di capacità di far fronte ai nuovi termini della competizione. Certo, ci sono elementi preoccupanti che non possono essere sottovalutati, come l'emergere di nuove grandi potenze sulla scena dell'economia mondiale - e ci riferiamo soprattutto alle potenze asiatiche - e anche per i metodi con cui operano. Si impone una grande vigilanza. Non una chiusura in noi stessi, che sarebbe anacronistica, assolutamente impossibile e velleitaria; però dobbiamo anche muoverci perché, in una competizione aperta, ci siano delle regole.
Credo che sia molto importante che queste regole vengano affermate a livello europeo: l'Europa è un quadro di riferimento essenziale. Non c'è singolo Paese, non dico nessuna singola regione, ma nessun singolo Paese, anche grande Stato nazionale di formidabili tradizioni storiche - si pensi a Germania e Francia - che possa da solo reggere la sfida della competizione globale e contare sulla scena mondiale. Lo può l'Europa, con quasi 500 milioni di cittadini, se riesce ad esprimere le sue strategie, se riesce a parlare con una sola voce, se riesce anche a farsi sentire in certi fori: pensiamo alla Organizzazione Mondiale del Commercio, dove appunto bisognerebbe stabilire regole a tutela di una corretta e non sleale competizione. Tra l'altro, l'Organizzazione Mondiale del Commercio è l'unica sede internazionale in cui già oggi l'Europa parla con una sola voce: se si va a vedere a Ginevra la sede dell'OMC, si vedrà che al tavolo attorno a cui si siedono i rappresentanti degli Stati, per l'Europa c'è una bandierina; e dietro a quella bandierina c'è uno solo che parla sempre per tutta l'Unione Europea. Questo è un elemento di forza molto importante che bisogna saper giocare. Così come sarebbe molto importante far giocare la forza dell'Europa nel Fondo Monetario Internazionale. Se si mettessero insieme le quote dei singoli Stati europei in seno al Fondo Monetario Internazionale, si costituirebbe un interlocutore di grandissimo rilievo, di peso non inferiore a quello degli Stati Uniti d'America.
Piccole e piccolissime imprese: ho sentito qui dire che ci sono state nel passato anche valutazioni negative, o almeno così sono state percepite, e risentite. Credo, naturalmente, che sia una grandissima sciocchezza. Per la verità, rammento che - non so quanti anni fa: forse venti - un istituto che abitualmente elabora rapporti sulle tendenze economiche e sociali lanciò lo slogan "piccolo è bello". Forse era esagerato, forse indicava una sottovalutazione del ruolo che spetta sempre alla grande impresa. Ma direi, a maggior ragione, da quando la grande impresa ha subìto un declino - perché in Italia lo ha subito - dovremmo tornare a valorizzare il piccolo, che di per sé non sarà sufficiente e che non comporta che si debba abbandonare lo sforzo per tenere in piedi le grandi imprese capaci di competere sul piano internazionale.
Abbiamo avuto un esempio recente che ha, non oso dire del miracoloso, ma del sorprendente, cioè il recupero della Fiat. Da una crisi che sembrava quasi irreversibile, questa grande impresa europea è riuscita a risalire. Ma vogliamo davvero correre il rischio, possiamo concederci il lusso di non valorizzare l'universo delle piccole e piccolissime imprese? L'importante, certo, è che riescano a fare sistema, che riescano a produrre delle reti, che riescano a rinnovare e ad allargare i distretti industriali che hanno costituito uno dei volani della vostra crescita.
Ci sono due Italie, ma forse ce ne sono più di due. L'Italia è un Paese ricco di diversità e anche gravido di problemi. C'è il problema del Mezzogiorno, ci sono altre questioni, ci sono altre realtà, ci sono anche fenomeni ed esempi di sviluppo assolutamente nuovi: non solo quello del Nord-Est, ma anche, per esempio, quello delle regioni adriatiche. Il Mezzogiorno rappresenta una spina, è inutile dirlo: qualcuno degli studiosi, d'altronde, si è qui espresso molto nettamente, nel senso di dire che il problema dell'Italia è il problema del sottosviluppo del Sud. Qual è l'elemento drammatico? Esso consiste - voi potete comprenderlo, e in modo particolare lo comprende chi si è molto occupato dei problemi del Mezzogiorno - nel fatto che l'obbiettivo della unificazione anche economica del Paese, che ha rappresentato uno dei grandi obiettivi dello Stato unitario - si può giungere a dire che lo Stato italiano è sorto anche per realizzare l'unificazione economica dell'Italia - non è stato realizzato. Naturalmente, è molto difficile fare una ricostruzione delle cause o delle responsabilità. Ci sono responsabilità anche all'interno del Mezzogiorno: non è mai stato un buon difensore della causa del Mezzogiorno chi non ha ricercato, anche all'interno del Mezzogiorno, le cause e le responsabilità, e chi le ha addossate soltanto al resto del Paese o addirittura soltanto all'amministrazione centrale, a chi governa a Roma.
Ora, mi rendo ben conto del fatto che si è creato uno stato d'animo, un sentimento e anche un orientamento diffuso: quello che si dà in termini di solidarietà non si traduce in termini di risultati. C'è stato però un periodo non breve durante il quale le distanze tra Nord e Sud, tra le economie di queste due parti del Paese si sono venute accorciando. Poi hanno ripreso ad allungarsi. Quindi, occorre davvero una riflessione forte, una svolta profonda che interessa tutti, perché l'Italia potrà affrontare con successo la competizione globale soltanto se riuscirà a mettere in valore tutte le sue risorse, anche quelle che per il momento sono non utilizzate: le riserve potenziali del Mezzogiorno. È un interesse comune, ed è un dovere di chi governa il Paese. Poi, bisogna vedere se la dispersione di questo flusso di risorse che voi sentite penalizzante - flusso di risorse che va verso le regioni meridionali e non produce risultati adeguati nell'interesse comune - sia dovuta anche all'amministrazione pubblica, all'insieme della macchina statale.
E allora che fare? o sentito anche qui pronunciare, in riferimento ai poteri del Capo dello Stato, la classica definizione di poteri di "moral suasion", di persuasione morale. Ho l'abitudine di dire che sono dei poteri molto misteriosi, che io cerco di esercitare, naturalmente non potendo giurare sulla loro efficacia. Però, io raccolgo e trasmetto, perché è fondamentale, per tutti, anche questo messaggio di semplificazione della macchina dello Stato, di snellimento dell'amministrazione pubblica. Si lega strettamente - non c'è dubbio - ad un disegno di modernizzazione delle istituzioni. E a un disegno di federalismo fiscale
Il federalismo fiscale non è più, non può essere più un tema di discussione. Si è discusso all'infinito, poi si è scritto qualcosa, e non in una legge qualsiasi: si è scritto qualcosa nella Costituzione. C'è stata una riforma della Costituzione nel 2001, e la si è sottoposta a un referendum popolare, che ha confermato il nuovo Titolo V della Costituzione. È intervenuta tra il 2001 e il 2006 una fase di incertezza e di sospensione, perché legittimamente c'erano forze politiche che proponevano una nuova modifica del Titolo V che si potesse considerare da qualche parte più soddisfacente. Comunque, quella nuova legge di revisione costituzionale non è stata approvata nel referendum popolare. Quindi è rimasto in vigore il Titolo V come era stato definito nel 2001. Oggi non c'è che da attuarlo. Non si tratta di riaprire nessuna discussione sui principi del federalismo fiscale: si tratta di vedere - e si tratta di vederlo alla svelta - come si deve tradurre in disposizioni concrete, in un disegno di legge delega che, mi si assicura - ma può darsi benissimo che io, poi, debba verificare se l'assicurazione meriti piena fiducia - sarebbe presentato tra pochissimo al Parlamento, così come è stato presentato da pochissimo al Parlamento il disegno di legge per la ridefinizione e distribuzione delle funzioni amministrative, fino a giungere alla carta delle autonomie di cui molti di voi avranno sentito parlare.
Cosa è che mi conforta a questo proposito? Mi conforta il fatto che sia sul federalismo fiscale - disegno di legge che dovrebbe essere imminente - sia sulla nuova distribuzione delle funzioni amministrative e sulla carta delle autonomie, hanno potuto parlare i rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. Hanno potuto confrontarsi con le istanze di governo; hanno presentato emendamenti e proposte, che si sono recepite anche per quel che riguarda il federalismo fiscale, rispetto ad un rapporto pure importante ed elaborato da uno studioso di grande esperienza e di alto livello come il Professor Giarda. Sono intervenute, successivamente, le osservazioni del mondo delle autonomie, e questo dovrebbe significare che non si tratta di un adempimento legato alle sorti di un governo: deve essere un adempimento comune, permanente di tutte le istituzioni per un periodo non breve, per tutto quello che sarà richiesto dalla prima attuazione di ciò che è scritto nel Titolo V della Costituzione.
Caro Presidente Galan, ieri abbiamo anche un po' parlato di infrastrutture, questione per voi fondamentale. Abbiamo ragionato della integrazione necessaria del Corridoio Numero 5 con il corridoio autostradale Civitavecchia-Venezia. Abbiamo parlato anche di altre cose. Lei oggi ha citato qualche novità sul fronte dell'ANAS, mi auguro che ce ne siano presto anche sul fronte delle Ferrovie dello Stato. Queste sono, in effetti, amministrazioni che non debbono rispondere di volta in volta ad un governo: debbono avere una loro consapevolezza della funzione da assolvere e debbono garantire la continuità di questa funzione anche nel mutare degli scenari politici.
Questo volevo dirvi. Spero che voi possiate accogliere la mia presenza, oggi, come un riconoscimento e un omaggio sincero e convinto. Lo rivolgo a voi tutti, alla vostra terra, a quello che avete creato e state creando.