L'esercizio del potere di grazia del Presidente della Repubblica dopo la sentenza 200/2006
Le indicazioni della sentenza 200/2006 e le iniziative del Presidente Napolitano
Il 18 maggio 2006, la Corte costituzionale depositò la sentenza n. 200 sul potere di grazia e affermò, nella sostanza, che il Capo dello Stato ne era titolare non solo formale.
Lo stesso 18 maggio, e a tre giorni dal suo insediamento, il Presidente Napolitano comunicò la sua intenzione di istituire un Ufficio deputato (l’Ufficio per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia), tra l’altro, alla trattazione delle pratiche di grazia e di commutazione delle pene: una trattazione che, sulla base delle conclusioni prese dalla sentenza, si poteva prevedere particolarmente delicata e complessa anche sotto l’aspetto delle prassi organizzative da individuare e delle procedure da seguire.
Con la sentenza 200/2006, infatti, la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nei confronti del Ministro della giustizia Roberto Castelli in relazione alla titolarità del potere di grazia. Nella sentenza si legge che l'esercizio del potere di grazia risponde a finalità essenzialmente umanitarie e serve “a temperare il rigorismo dell'applicazione pura e semplice della legge penale favorendo l'emenda del reo e il suo reinserimento nel tessuto sociale”. Nella sentenza, la Corte sottolinea anche che l’istituto della grazia ha ora perso le connotazioni legate a “fini di politica penitenziaria” e ha recuperato la funzione di strumento destinato a soddisfare solo straordinarie esigenze umanitarie. Da ciò si deduce la necessità di riconoscere che, nell'esercizio del potere di clemenza individuale, il Capo dello Stato ha potestà decisionale perché organo super partes e “rappresentante dell'unità nazionale”, estraneo al “circuito” dell'indirizzo politico-governativo.
Nella sentenza, la Corte ha inoltre chiarito che spetta al Ministro svolgere l’attività istruttoria e comunicarne gli esiti al Capo dello Stato con le sue “proposte”. Se il Capo dello Stato non condivide le valutazioni contrarie del Ministro, “adotta direttamente il decreto concessorio esternando nell’atto le ragioni per le quali ritiene di dovere concedere egualmente la grazia, malgrado il dissenso espresso dal Ministro”.
La esclusione del carattere “duale” del potere di grazia ha indotto a individuare nuove procedure idonee ad agevolare l’esercizio dei poteri-doveri che, nella materia, la Corte ha attribuito al Capo dello Stato e al Ministro. Dopo la sentenza della Corte la cooperazione tra le strutture ministeriali e quelle della Presidenza della Repubblica è stata piena e leale. Grazie a essa si è pervenuti alla elaborazione di prassi condivise tese a sviluppare in modo sistematico i principi enucleabili dalla sentenza 200/2006.
Per la Presidenza della Repubblica, dunque, il primo effetto “organizzativo” determinato dalla sentenza è stato quello della costituzione di un apposito Ufficio cui è stata affidata sia la trattazione delle pratiche relative alla concessione delle grazie e alla commutazione delle pene sia la trattazione di tutti gli altri affari in materia di giustizia connessi alle competenze del Capo dello Stato.
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